DOMANDE APERTE SULL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE
In questi ultimi mesi si è molto discusso sulle potenzialità e sui limiti dell’intelligenza artificiale (AI); come spesso accade, questo ha provocato una forte divisione tra gli ottimisti e i pessimisti.
L’argomento è complesso e bisognerebbe avere le conoscenze tecniche opportune per parlarne con serietà.
Per i non addetti ai lavori, il rischio è quello di dare libero sfogo alla fantasia, fino a convincersi di certi sicuri risultati, che in realtà sicuri non sono affatto.
A ben vedere, sia chi si aspetta eccezionali frutti positivi, sia chi invece guarda all’AI con sospetto, se non con timore, molto spesso si basa su sensazioni non fondate su solidi argomenti.
L’insegnamento della Chiesa, da sempre, dice saggiamente che ogni strumento tecnico non è né buono né cattivo di per sé, ma dipende dall’uso che se ne fa. Le intenzioni delle persone mantengono così una loro enorme importanza, perché siamo esseri liberi e non burattini nelle mani delle circostanze o delle tecnologie, che pure possono influenzarci notevolmente.
Un esempio citato molto spesso è quello dell’energia atomica, che può essere usata per usi militari o civili. Più banalmente, anche una lama affilata può essere usata come un pugnale o come un bisturi. Qualcuno ha persino osservato che già l’uomo primitivo, uscito per la prima volta dalla caverna con la clava, poteva usarla per procurarsi il cibo o per ammazzare il vicino.
Le nuove tecnologie
Quando ci riferiamo alla modernità, troviamo nella storia atteggiamenti irriflessi ottimistici o pessimistici di fronte a diverse scoperte scientifiche e tecnologiche. Il cannocchiale di Galileo, la macchina a vapore, l’elettricità hanno anticipato forti speranze e forti timori, che oggi riguardano tra varie cose le biotecnologie, le reti telematiche, i sistemi di automazione e, recentemente, l’AI.
Per la verità, il dibattito contemporaneo ha già qualche annetto alle spalle. Anzi, le antiche mitologie annoveravano vari episodi, raggruppabili per comodità sotto la generica immagine dell’apprendista stregone. Più recentemente, la fantascienza da decenni propone casi di sopraffazione degli umani da parte di entità meccaniche o biologiche aliene, sia provenienti da altri mondi, sia generate da scienziati pazzi, malvagi o maldestri.
Se trascuriamo i prodotti della fantasia, la prima vittoria a scacchi del computer Deep Blue contro il campione del mondo Kasparov risale al 1996 ed è indubbiamente un’applicazione di AI. Qualche esperto dichiarò che certe mosse di Deep Blue non potevano essere escogitate da esseri umani, alimentando così l’idea che una macchina potesse “pensare”.
Nel tempo, altre applicazioni di AI sono state introdotte in vari campi, come per esempio l’economia e la finanza, l’ingegneria o la medicina. Evidentemente, la prospettiva che certe decisioni molto delicate possano essere prese da AI non lascia tutti tranquilli.
Da una parte, la consapevolezza che i complessi algoritmi alla base di AI siano ideati da esseri umani potrebbe sembrare sufficiente a diradare tutti i dubbi, secondo la vecchia definizione dei computer come dispositivi “stupidi molto veloci”, ma in ogni caso controllati pienamente da esseri umani.
Da un’altra parte però la definizione stessa di AI implica la capacità di apprendimento delle macchine, se vale sempre la classica definizione di Piaget, secondo cui l’intelligenza consiste nella capacità di affrontare situazioni nuove. Quindi, un computer che apprende non è guidato passo passo, ma può imboccare strade non precostituite e imprevedibili anche per chi lo ha programmato. Di conseguenza, una macchina può simulare una certa intelligenza, anche se non necessariamente umana: basterebbe pensare alle comprovate capacità di risposta a situazioni nuove manifestate anche da altri esseri viventi.
Quale futuro ci attende?
Possiamo anzitutto dire che ci sono applicazioni di AI molto diverse tra di loro, ma tutte potenzialmente capaci di rivoluzionare la nostra vita quotidiana. Proviamo a citarne solo qualcuna.
Anzitutto, AI ha consentito un gigantesco sviluppo nella gestione di elementi immateriali e simbolici, a partire dai diversi ambiti della comunicazione umana, come i linguaggi naturali, la matematica o la musica. Si ricorderanno i tempi in cui si disattivavano i correttori automatici dei testi per evitare imbarazzanti strafalcioni, per non parlare delle amenità prodotte dai traduttori automatici da una lingua all’altra.
Attualmente però le prestazioni si sono molto affinate, tanto che ChatGPT (l’applicazione di AI oggi più dibattuta) riesce a simulare con buona coerenza un colloquio con un soggetto umano, utilizzando linguaggi naturali. E si dibatte ormai apertamente sui testi letterari o sulle composizioni musicali prodotte da AI, con i conseguenti interrogativi sulle attribuzioni dei diritti d’autore.
I dispositivi telematici molto diffusi e molto potenti, compresi i cellulari di ultima generazione, interconnettono già oggi un’enorme e crescente quantità e qualità di dati (si parla in inglese di big data), rivoluzionando tra l’altro le pubbliche amministrazioni, le organizzazioni lavorative, la fruizione del tempo libero. Chiunque abbia prenotato sui due piedi un ristorante o un albergo, arrivandoci poi grazie a un navigatore satellitare, ha attivato con una certa noncuranza una serie di supporti informatici indisponibili con tanta immediatezza solo pochi anni fa. E la gamma delle utilizzazioni cresce ogni giorno, come ben sappiamo pensando a tutte le continue e insistenti richieste di scaricare sul nostro cellulare sempre nuove app.
Di più: il cosiddetto “metaverso” è uno spazio virtuale in cui i soggetti possono interagire tra di loro con gradi di libertà inconcepibili in natura. Suoi precursori in decenni trascorsi si possono trovare in un romanzo di Neal Stephenson pubblicato nel 1992, oppure nel mondo di Second Life lanciato nel 2003. I giovani di allora hanno appreso così a navigare in spazi inesplorati, identificandosi come “avatar”, con evoluzioni impossibili nella realtà fisica, eppure stabilendo relazioni e costituendo nuovi gruppi sociali o comunità virtuali.
AI interviene quindi nel modificare, oltre alle relazioni sociali, anche le relazioni con la realtà fisica. Si parla così di “realtà aumentata” quando certi dispositivi consentono di sovrapporre alle percezioni sensoriali altre informazioni che le arricchiscono, per esempio utilizzando appositi visori. Il turismo è uno dei tanti ambiti che se ne avvalgono, quando per esempio offre ai visitatori la possibilità di introdursi virtualmente in un monumento del passato, come il Colosseo, rivivendone le fattezze originarie.
Infine, AI si è affermata e si estenderà ulteriormente anche nella manipolazione diretta delle realtà materiali. La robotizzazione produttiva e le stampanti 3D sono esempi della cosiddetta “Internet delle cose”, destinata a sostituire una larga parte della mano d’opera umana, così come la manipolazione simbolica di AI ha già sostituito numerose mansioni impiegatizie. A questo proposito, si sente spesso dire che negli uffici e nelle fabbriche sono stati automatizzati i compiti più ripetitivi, faticosi e usuranti. Questo è vero, ma è stato solo l’inizio, che non corrisponde propriamente alle potenzialità di AI, così come descritta nelle sue capacità di apprendimento.
Possiamo allora davvero temere che AI possa sostituire completamente le attività umane, così come si sognavano già in passato le “fabbriche senza operai”?
Sembra che a questa utopia ci si possa avvicinare più di quanto oggi non si creda. Tuttavia, la natura simbolica e la dimensione etica degli esseri umani presentano articolazioni ulteriori, che difficilmente possono essere imbrigliate in procedure, funzioni e algoritmi. Ne riparleremo quando un computer, particolarmente avanzato, saprà rendere operativo il concetto di una persona povera, ma onesta.